Con buone probabilità, il metodo per realizzare un e-Commerce di successo è impossibile da formalizzare. Forse addirittura… non esiste (altro che guru!). Infatti, quand’anche venisse teorizzato, non potrebbe funzionare per tutti i mercati e le molteplici realtà aziendali. Anzi, dovesse funzionare per tutti, di fatto non funzionerebbe per nessuno.
La crescita positiva di un negozio online è conseguenza – diretta e indiretta – di moltissime variabili, alcune delle quali non sono controllabili dal venditore. Di certo congetture, esperimenti, teorie, dati, esperienza e anche un pizzico di fortuna, sono tutti elementi che aiutano il merchant. Ma se è difficile trovare una formula che valga per ogni realtà, più semplice è la raccolta di alcune buone pratiche comuni a tutti, in particolare aziende medio-piccole che stanno per approcciarsi alla vendita online.
In questo breve elenco di 7 tematiche (sì, proprio come i peccati capitali!) riporto, a mio parere, alcune delle millemila buone pratiche applicabili alla gran parte dei business online orientati alla vendita. Semplici argomenti dai quali partire per la definizione di una strategia che possa contribuire a decretare il successo dell’e-Commerce. Cosa ne pensate?
1) La marginalità
Ricordate gli Aerosmith, con il sempreverde Steven Tyler che canta “Livin’ on the edge“? Vivere al limite è la sorte che tocca a molti dei negozi online – quasi tutti a dire il vero – perché si parla di cifre tra l’80% e il 95% di attività destinate a chiudere nel giro di poco tempo.
E’ vero, esistono realtà che possono permettersi di pianificare perdite per i primi anni di esercizio, ma sono casi più unici che rari, specie in un momento di crisi e con il tessuto aziendale tipico del nostro Paese. Insomma, fare e-Commerce è tanto gratificante quanto rischioso! Discorso diverso, secondo me, se esiste già un negozio tradizionale… ma questa è un’altra storia.
Cosa fare quindi? Se non proprio un business plan (che sarebbe assolutamente auspicabile), almeno i conti della serva e qualche congettura: scelta del prodotto/mercato, ipotesi di traffico, stima degli ordini attesi e dello scontrino medio (magari avvalendosi dei dati del negozio su strada, online normalmente sono un po’ diversi). A questo andremo a sottrarre i costi su base annua: prodotti, sconto cliente, licenze, concessioni, imballi, spedizione, commissioni pagamento, struttura IT, consulenze, comparatori di prezzo, pubblicità, customer care, resi, magazzino, logistica, gestione, marketing ecc.. Ora, al netto della tassazione, c’è abbastanza margine per andare in pari? E per mantenere un’azienda?
Beni immateriali (es. corsi online, file MP3, info-prodotti) e consumabili/accessori, sono prodotti che godono di marginalità molto alta; ecco alcuni siti che vendono beni tipicamente ad alta marginalità e che sono attivi da diversi anni: Lindy.it, Ilnarratore.com, Inchiostri.it
2) Unici o specializzati
Amazon è da sempre un modello per tutti coloro che vogliono fare e-Commerce: uno shop che funziona, un marchio affidabile, un’azienda che ha fatto la (sua) storia. Dobbiamo però ricordarci che Amazon è stato uno dei primi negozi online al mondo, con i suoi alti e bassi (e con una strategia a lunghissimo termine) nonché con risorse oggi impensabili. Insomma, di Amazon ce n’è uno solo, non si può più replicare ed è giusto che sia così. Chi sarebbe tanto azzardato da aprire oggi una libreria online? O anche solo un’attività che rientri nelle categorie merceologiche ben coperte da Amazon?
Non ha molto senso ispirarsi a quel modello, quanto invece differenziarsi. Amazon non è la verità. L’unicità diventa quindi fondamentale, specie quando si intuisce dove “peccano” i big (o, meglio, dove non potranno mai arrivare per mancata convenienza economica) e soprattutto quello che i clienti percepiscono come valore. E’ un po’ come paragonare il centro commerciale generalista con il negozio di vicinato specialistico. Nel primo trovi tutto e a buon prezzo, ci vai per comodità e per comprare gli stessi prodotti che hanno anche altri, nel secondo trovi una selezione della crème e prezzi che ripagano il supporto esperienziale, ci vai quindi per esigenze particolari diverse da quelle della “massa”.
Per i medio-piccoli, la guerra dei prezzi è sempre una sconfitta. Dove possibile è meglio orientarsi verso l’offerta di un valore unico: specializzazione, rapporto personalizzato ed esperienza (per dimostrare autorevolezza aiuta ancora molto curare un blog e partecipare ai forum/community tematici). Per esempio i negozi online che stimolano il contatto diretto attraverso tutti i canali disponibili godono spesso di un fatturato offline indotto dall’e-Commerce. Costi e difficoltà non stanno nel trovare il modo di differenziarsi, quanto invece nel comunicarlo con forza ed efficacia.
Il sito ilmondodelbarbecue.it è uno di quelli che ha scelto di puntare sul valore della “consulenza” e proporre un valido supporto pre-vendita, aiutando il cliente nell’ardua scelta.
3) Risorse e budget
Qualche anno fa uno spot TV recitava “La potenza è nulla senza controllo“. Dal mio punto di vista è assolutamente vero: disporre di un budget milionario, non è garanzia di successo. Purtroppo una cultura deformata da non so quale radice storica, porta la maggior parte degli aspiranti venditori online a focalizzare la propria attenzione su una e una sola cosa: la piattaforma tecnologica.
Vendere online non è così a buon mercato come si pensa, specie se l’obbiettivo è quello di raccogliere centinaia o migliaia di ordini al mese. Per assenza di cultura e di esperienza diretta, i budget dedicati all’e-Commerce (il canale digital dell’azienda!) sono ancora risicati. Forse per timore di un mezzo sconosciuto o per la necessità di verificare il volume di ordini che può generare. A maggior ragione un motivo in più per spalmare questo investimento in maniera oculata e strategica.
Purtroppo anche in questo caso non esiste un modello, perché ogni realtà necessita di un approccio ad hoc, ma in linea di massima – soprattutto per chi deve iniziare – può aver senso orientarsi verso un approccio con priorità di questo tipo:
– il marketing prima di tutto (traffico, creazione database utenti, acquisizione clienti al primo ordine, comunicazione del proprio valore, la messa in atto di una strategia a medio-lungo termine volta a ridurre i costi fissi per il mantenimento dell’advertising a pagamento a favore del naturale/organico/spontaneo ecc.)
– le competenze sono indispensabili (consulenze esterne, formazione ecc.)
– e solo in ultimo… la tecnologia (piattaforma, software, hosting ecc.).
La tecnologia e la piattaforma, da cui le integrazioni e gli automatismi, assumono importanza maggiore man mano che il business cresce. All’inizio, per la mia esperienza, si tratta di aspetti secondari. Come lo è il design fine a sé stesso o utile solo a soddisfare il gusto del merchant: un sito “accattivante” non sempre (quasi mai!) corrisponde a un sito “che vende”, mentre l’obbiettivo principale dovrebbe rimanere sempre e solo questo: sostenibilità. Possono sembrare concetti banali e scontati, ma sono ancora molti i commercianti che non li fanno propri, rischiando di perdere grandi opportunità.
4) Generalisti o specializzati
Gli amanti delle bollicine anni ’80 avrebbero detto “per molti ma non per tutti” (alzi la mano chi non se lo ricorda!). In sostanza significa abbandonare il generico per abbracciare lo specifico. Questa è, secondo me, una buona pratica per chi si avvicina al mondo dell’e-Commerce: lasciare la massa per curare l’èlite. Si tratta di un aspetto difficile da far digerire al commerciante, il quale ha spesso l’impressione che riempiendo la bancarella si abbiano maggiori possibilità di rispondere all’esigenza (cerchi X, ma poi compri Y). Avrete di certo sentito parlare di “nicchia”, un consiglio condiviso un po’ da tutti nell’online, di fatto parliamo ancora di specializzazione.
I siti specializzati vendono pochi prodotti, magari in più varianti, e in casi estremi (ma sempre più frequenti) addirittura un prodotto solo, rivolgendosi esclusivamente a un segmento di pubblico limitato.
Specializzarsi è un’arte: un mix di sensazioni dettate dall’esperienza e dai numeri raccolti in maniera più o meno scientifica (strumenti online, report acquistabili, numeri e dati provenienti da e-Commerce simili ecc.). Nel dubbio? Un test: pagina + campagna. Attraverso una landing page creata su misura e una campagna di base low cost (es. PPC) è possibile valutare l’effettiva reazione degli utenti di riferimento e al contempo raccogliere un po’ di dati veritieri.
Insomma, nessuno ci ha ordinato di iniziare a vendere online con un catalogo da centinaia di prodotti (bisogna anche avere la forza economica per farlo!). Potrebbe bastarne uno solo, magari ad alto margine: alcune aziende italiane raccolgono online centinaia di ordini al giorno con una singola offerta. O, ancora, si potrebbe lavorare per essere l’unica azienda a vendere online, in Italia, un determinato prodotto (es. per licenza, per importazione o produzione in proprio).
Ecco alcuni esempi di siti che puntano sulla specializzazione, scegliendo la strada dei pochi prodotti: Oybo.it (solo calzini… spaiati), GoSphero.com (singolo prodotto) e la più conosciuta Gopro.com (prodotto di punta e up selling + accessori per cross selling).
5) Multicanalità
Questo è un termine che deriva dal commercio tradizionale, ma chi vende online e segue blog/gruppi di settore si è certamente imbattuto più volte in questo concetto, ormai è un must. Affrontare la vendita online con un approccio multicanale significa utilizzare, unire e coordinare le forze di tutti i canali presidiati dall’azienda con l’obbiettivo comune di generare un maggior numero di vendite. Nelle grandi aziende si sperimenta spesso una forte competizione tra i canali (ogni responsabile ha il suo budget e i suoi obbiettivi), ma ogni settore dovrebbe lavorare per il bene dell’azienda e non per il bene del canale stesso.
Chi dispone di negozi sul territorio, per esempio, può sfruttare ogni canale disponibile grazie alla forza del presidio. In un buon e-Commerce c’è coordinamento e cooperazione tra canali. Per esempio tra online (sito), commercio tradizionale (negozio), mobilità (smartphone), stampa (affissioni o volantini), telefono (outbound) ecc. Anche perché, diciamoci la verità, il concetto di “canale” esiste solo nelle logiche commerciali, per il cliente ci sono due cose: il venditore e il prodotto. La multicanalità deve quindi essere gestita in maniera trasparente. L’info-commerce ne è un esempio: alcuni si informano online e acquistano in negozio, altri provano il prodotto in negozio e poi cercano online il prezzo migliore, altri ancora ancora approfondiscono caratteristiche e opinioni sul prodotto utilizzando lo smartphone dentro il negozio. Bisogna quindi essere presenti su tutti i touchpoint: è finita l’era del journey lineare!
E’ fondamentale farsi trovare pronti e presidiare correttamente ogni canale (es. come fa Euronics.it), o almeno quelli a portata di tutti: telefono, web, mobile e – dove possibile – negozio tradizionale. Ma per quanto il negozio online sia tecnicamente pronto a gestire le varie richieste, è bene ricordare che un discreto commesso (a eccezione di quelli tipo “tutto quello c’è è sullo scaffale”) vende sempre meglio di un’ottima pagina web. Anche al telefono.
6) Stimolare il desiderio
Apple insegna che, ancor prima del prodotto, si vende l’esperienza (e lo status). Anche per questo si fa un gran parlare di storytelling, una strategia che il marketing tradizionale applica già da un po’. Online, dove i cinque sensi vengono brutalmente ridotti a due, un eco-sistema in grado di coinvolgere e sedurre è uno degli ingredienti per il successo (se c’è un pubblico). Anche perché, su questo punto, molti negozi online offrono solo il minimo sindacale e quindi la concorrenza è… impreparata.
Dal copywriting alle fotografie, dai video allo stile, dalle schede prodotto alle newsletter: ogni elemento dovrebbe parlare la lingua della persuasione. Inoltre, una comunicazione curata nel minimo dettaglio trasmette inconsciamente anche il (necessario) senso di affidabilità e professionalità che tanto manca online. In poche parole: garanzia di sicurezza percepita. Ragionando per estremi, comprereste mai qualcosa dal sito www.Arngren.net? (è il mio esempio preferito, lo uso in tutti i corsi, impossibile trovare di peggio)
La comunicazione ai 5 sensi, il dettaglio “immersivo”, il remarketing… ogni mezzo contribuisce a stimolare il desiderio nei visitatori. Una buona pratica è quella delle immagini che “accellerano la salivazione”, della stimolazione del desiderio, dei video dell’unpacking, dei testi diretti, coinvolgenti e persuasivi, delle fotografie grandi che sottolineano i dettagli, della spinta all’acquisto d’impulso (dove possibile), del remarketing etico e così via. Se è opinione comune che un venditore si presenti sempre col vestito buono, perché il prodotto dovrebbe essere da meno?
7) Il modello di business
L’obiettivo di un e-Commerce è per definizione la vendita, ma c’è modo e modo, ecco cos’è il modello di business. Al solito, il limite è la fantasia: vendita a catalogo (es. Monclick.it), vendite flash (es. Woot.com), acquisti di gruppo (es. Vinix.it), vendite private (es. Privalia.com), abbonamenti (es. GlossyBox.it), marketplace (es. Cortilia.it), store su dispositivi (es. Apple Store) e chi più ne ha più ne metta.
Ogni modello mette in campo strategie profondamente diverse, ma la chiave di tutto è nella sostenibilità (e nel tempo per raggiungerla). E’ necessario tenere da conto concetti importanti come il costo di acquisizione cliente (primo ordine) e il valore del cliente nel tempo. Bisogna sempre lavorare per abbassare il primo e alzare il secondo.
Supponiamo di vendere fedi per matrimonio, un prodotto che si acquista solo una volta nella vita (almeno in teoria). Come merchant compriamo dal fornitore a 60 euro e rivendiamo a 100 euro online, marginando 40 euro. In questo caso, se il costo di acquisizione di un ordine fosse di 25 euro rimarrebbero solo 15 euro a copertura di tutti gli altri costi e dell’utile che vogliamo ricavarne. Probabilmente troppo poco per sostenere l’attività, anche in virtù del fatto che non possiamo ammortizzare i costi di acquisizione del cliente (per esempio attraverso una newsletter con le nuove offerte).
Il discorso sarebbe molto diverso se vendessimo vino o stampanti. In questo caso nella stessa linea di prodotti ci sarebbero diverse fasce di prezzo/qualità e si potrebbe lavorare con la tecnica dell’up-selling. Allo stesso modo esisterebbero prodotti complementari (decanter) e consumabili (cartucce), pertanto si potrebbero mettere in atto anche tecniche di cross-selling. O, ancora, dopo un certo numero di settimane avrebbe senso contattare i clienti per proporre una nuova fornitura (o un abbonamento!) e addirittura automatizzare l’intero processo di contatto/vendita.
Dai più recenti modelli come l’abbonamento fino ai marketplace specializzati, passando per strategie tradizionali di up/cross-selling, al successo di ogni modello contribuiscono anche gli automatismi utili a risparmiare tempo e indirizzare gli sforzi “di valore” verso attività che necessitano dell’intervento umano. Il tempo, infatti, è probabilmente la risorsa più scarsa e sotto-stimata di cui un merchant dispone per la sua attività, indipendentemente dal suo modello di business.
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